QUI DI SEGUITO LA PRESENTAZIONE E IL GIORNALE-CATALOGO DELLA MOSTRA IN CORSO FINO AL 13 OTTOBRE ALLA CASA ROTONDA.
«Perché un artista dovrebbe prendere se stesso come soggetto?
Per amore di sé, evidentemente, è la prima risposta che viene in mente.
Ma perché, invece, non per disperazione o per lucidità?»
(Hervé Guibert)
Chi era davvero Roberto Donetta e perché la sua opera continua a interpellarci e a sorprenderci a quasi un secolo di distanza dalla sua morte? Una domanda che è al centro di tutte le iniziative (mostre, saggi, romanzi, documentari, composizioni musicali) che lo riguardano. Esplorare la produzione di autoritratti di Donetta e le fotografie che lo ritraggono insieme ad altre persone (in tutto oltre una settantina di scatti) ci permette di compiere un passo in più lungo questo itinerario di riscoperta iniziato oltre 30 anni fa ma ancora lungi dall’essere concluso. Un passo dentro la psicologia di un uomo che nel corso della sua vita ha oscillato tra due comportamenti opposti: quello di mostrarsi, fornendo agli altri un’immagine rispettabile e dignitosa di sé e della sua famiglia e, dopo essere stato abbandonato da tutti negli ultimi anni della sua vita, quello di nascondersi agli occhi dei suoi cari all’interno di immagini misteriose e contorte.
Come ipotizza nella citazione qui sopra Hervé Guibert, all’«amore di sé» fa quindi seguito «la disperazione» e infine «la lucidità». Lucidità sulla quale aleggia l’ombra inquietante della follia, come pare emergere in particolare dall’autoritratto che Donetta si è scattato in fondo a una grotta, tra stalagmiti di ghiaccio, con sul volto un’espressione allucinata. Forse l’ultima tappa, fotograficamente parlando, di un percorso esistenziale irto di ostacoli di ogni genere, alla continua ricerca di un’impossibile riscatto sociale in un microcosmo come quello bleniese d’inizio Novecento dove la miseria era ancora molto diffusa.
Questi autoritratti ci permettono quindi di scrutare dentro gli occhi del fotografo, alla ricerca di qualche indizio in più per cercare di fissarne un’immagine più chiara. Un’operazione tutto fuorché semplice, poiché Donetta si diverte a mischiare le carte in tavola. Pur non abbandonando quasi mai la sua espressione burbera e imbronciata, si presenta di volta in volta come un distinto viandante, un padre e marito amorevole, un lavoratore indefesso, un ottimo e originale promotore di se stesso e della sua attività fotografica o di venditore ambulante di sementi. D’altro canto però, a un certo punto affiorano il rancore, la delusione e la rabbia nei confronti di chi lo ha abbandonato e di una società che non ha saputo (o voluto) comprenderlo. In questo caso, le fotografie si presentano come l’illustrazione perfetta delle numerose e lunghe lettere che il fotografo scrisse ai parenti durante i suoi ultimi anni di vita.
Al di là di questi aspetti esistenziali, gli autoritratti di Roberto Donetta ci permettono ancora una volta di apprezzare il suo gusto per la messa in scena, un uso della luce che dimostra delle conoscenze molto approfondite in materia e l’assenza di qualsiasi timore nel lanciarsi in sperimentazioni audaci e complesse, come le triple esposizioni sulla medesima lastra.
Riprendendo il ragionamento di Guibert, si po affermare che per gran parte della sua vita, Roberto Donetta ha amato se stesso, la propria immagine fotografata, che gli permetteva di correggere i difetti che la società gli attribuiva. A un certo punto però, ha iniziato a disprezzare gli altri ma anche se stesso, conscio del suo fallimento su tutta la linea. Ma dal profondo di questa disperazione non ha mai smesso di prendersi come soggetto delle sue fotografie. Un atto di coraggio e di lucidità degno di un grande artista.
Antonio Mariotti
Presidente Fondazione Archivio Donetta