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Lea Ferrari Castelli: L’Archivio Donetta, fonte preziosa, Bellinzona

Liceo di Bellinzona, Settembre 2009

Settembre 2009, studente al Liceo di Bellinzona e apprezzata collaboratrice dell’Archivio Donetta, Lea Ferrari Castelli propone alcune riflessioni prendendo spunto dalla mostra di fotografie di Roberto Donetta dell’estate 2009. 

L’Archivio Donetta, fonte preziosa

Non ho preferito, di questa esposizione, una fotografia più di un’altra. Forse alcune su tutte mi hanno indotta a riflettere attraverso paragoni tra i vari soggetti e con il mondo d’oggi. La scelta del tema “Le Donne”, al plurale, a me lascia intendere che non vi è un modello di femminilità rappresentato, bensì una pluralità peculiare alla Valle: la donna della fabbrica e la donna dei campi, la donna in vacanza e la donna al lavoro, la donna in posa e quella spontanea, … . Non ho saputo scegliere tra una di loro.

Le compunte ragazze del convitto mi fanno pensare ad un’ epoca di alterità e “gravitas”, per i greci l’atteggiamento che non lascia trasparire le emozioni, che io non ho conosciuto. Così come mi è estranea la fienagione e altri lavoro agricoli. Eppure c’è chi ha riconosciuto in me una legittima discendente di queste “Donne”. Ricordo un’esuberante svizzero tedesco che ai cui occhi cittadini dovevo apparire come “l’ultimo dei Moicani” e che sosteneva la mia somiglianza con la donne immortalate. Si è probabilmente fatto fuorviare dal mio viso tondo, i capelli lunghi e il naso minuto e, mitizzando la vita rurale, ha aggiunto che nei miei occhi e in quelli di alcune “Donne” fiammeggiava una luce “magica” che non è visibile negli sguardi dei cittadini, ormai spenta da uno stile di vita differente.

Ma io non ho vissuto, odorato, visto, toccato con mano le miserie e le gioie delle “Donne” del Donetta; io, al contrario di molte di loro, non ho dovuto portare le scarpe dismesse dalle mie sorelle, consumate da sei piedi prima di me, come mi ha sottolineato un visitatore attento ai segni dei tempi. Non so come ci si sente a dover rendere conto del proprio tempo libero ad una suora, chiamata in modo scherzoso da un turista romando “le contrôle sociale”. Completamente diverso è pure il significato che loro attribuivano alla fotografia rispetto a quello odierno: un piccolo sfizio per le giovani operaie, comprarsi un ritratto, mentre per i compaesani del Donetta era forse una novità divertente ed al contempo la passione di un perdigiorno. Uno strumento che ora diamo per scontato ma che i più d’allora riservavano a serie foto di famiglia e dei morti. Andando nel tecnico, un eclettico fotografo in visita mi ha fatto notare come oggi sia semplificato e svalorizzato il processo di ripresa del reale: non dobbiamo badare più a nessun parametro, l’apparecchio fotografico agisce automaticamente ed il nostro prodotto non è frutto di alcuna precisione, cura, metodo. L’esperienza con il visitatore mi ha gratificato tanto quanto la possibilità di addentrarmi nel mondo del Donetta, per me un lungimirante “reportage” di un persone, luoghi e valori, oggi trasformati e incomprensibili senza i piccoli lampi di genio di alcuni uomini. Lea Ferrari Castelli, estate 2009.