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ROBERTO DONETTA: FOTOGRAFARE IL GIOCO – GIOCARE CON LA FOTOGRAFIA

Nell’ambito del progetto giochiamo? del gruppo blenioidea l’Archivio Donetta, in collaborazione con la Fondazione Titta Ratti, la Cà da Rivöi e il Museo di Blenio, presenta la mostra:

    Roberto Donetta:
    fotografare i giochi
    giocare con la fotografia


    a cura di Gianni Cima

    in collaborazione con la Fondazione Titta Ratti, la Cà da Rivöi
    e il Museo della Valle di Blenio.

Oggi la fotografia è diventata un gioco nel quale tutti sono quasi sempre molto bravi. Grazie ai social network milioni di immagini, perfettamente riuscite, volano per il mondo e si moltiplicano in ogni dove. Appena cent’anni fa, la fotografia era una faticaccia e nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul risultato finale. Eppure un fotografo come Roberto Donetta ha trovato il modo di divertirsi con la fotografia e di fotografare i giochi. Un doppio percorso che si ritrova in questa mostra, tra bambini in triste posa con i loro preziosi giocattoli e adulti che si divertono davanti all’obiettivo del fotografo.

Inaugurazione:

  sabato 23 aprile 2016 alle 17:00, alla Casa Rotonda

    con la presentazione di Enrico Ferretti
    ricercatore, specialista in didattica del gioco

Apertura:

  dal 24 aprile al 9 ottobre 2016

ROBERTO DONETTA: FOTOGRAFARE IL GIOCO GIOCARE CON LA FOTOGRAFIA

Fondazione Archivio fotografico Roberto Donetta, Casa Rotonda, Corzoneso-Casserio 23 aprile – 9 ottobre 2016 Oggi la fotografia è diventata un gioco nel quale tutti sono quasi sempre molto bravi.

Grazie ai social network, milioni di immagini perfettamente riuscite volano per il mondo e si moltiplicano in ogni dove. Appena cent’anni fa, la fotografie era una faticaccia e nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul risultato finale. Eppure, un fotografo come Roberto Donetta – che doveva lottare quotidianamente contro la povertà – ha trovato il modo di divertirsi con la fotografia e di fotografare il gioco. Un doppio percorso che si ritrova in questa mostra, tra bambini in triste posa con i loro preziosi giocattoli e adulti che si divertono davanti all’obiettivo del fotografo. Due facce della stessa medaglia per il «sumenzátt» di Corzoneso, noto per riuscire a terrorizzare i più piccoli, che gli procuravano non pochi problemi vista la necessità di rimanere assolutamente immobili davanti all’’obiettivo; ma anche per i momenti privilegiati di socializzazione durante i quali, grazie alle sue «messinscena» fotografiche, riusciva a diventare per qualche istante il centro dell’attenzione generale. Il mondo dell’infanzia fotografato da Roberto Donetta è in ogni caso molto lontano da quello di oggi. I bambini bleniesi d’inizio Novecento somigliano ancora ad adulti in miniatura: né l’atteggiamento, né l’abbigliamento li differenziano sostanzialmente dai loro genitori o dai loro fratelli maggiori. Qualche indizio di quella modernità e di quel progresso che nel breve volgere di pochi decenni spazzerà via ampie porzioni della civiltà contadina dell’arco alpino rimasta intatta per secoli, lo si può però già intravvedere in queste immagini. Le nuove vie di comunicazione, il timido avvento del turismo e un abbozzo di industrializzazione portano anche in valle di Blenio i riflessi di una nuova era. E i giocattoli, in fondo, possono essere visti proprio come oggetti ancora del tutto inusuali, di cui i bambini ritratti da Donetta, abituati com’erano a «giocare» solo in un contesto naturale, non conoscono ancora bene la funzione, pur percependone il valore. Gli ingrandimenti realizzati a partire dalle lastre originali permettono quindi di evidenziare queste «novità» che ancora oggi suscitano la nostra curiosità in questo contesto. L’arte della messa in scena praticata dal fotografo bleniese è un aspetto del suo lavoro che è stato già esplorato in precedenti mostre e che, sin dalla riscoperta della sua opera, si è imposta come una peculiarità quasi unica per l’epoca. In questo caso, però, si è trattato soprattutto di mettere in evidenza la «stranezza» di certi scatti, nati tra le pieghe di una personalità complessa, sicuramente non priva di un certo senso dell’umorismo che gli permetteva – almeno in determinati momenti – di osservare il piccolo mondo che lo circondava con piglio ironico. Infine, da notare che a questo «gioco della fotografia» si sono prestati anche gli allievi di una classe di quarta elementare delle scuole comunali di Serravalle che, sotto la guida del maestro Manuel Notari e con l’aiuto del fotografo Alfonso Zirpoli, si sono cimentati in una simpatica rivisitazione di alcune immagini di Donetta, completando il loro lavoro anche con la stesura di brevi testi poetici. Un segnale importante, che dimostra come anche per i giovani d’oggi la fotografia possa continuare ad essere considerata come uno strumento utile per riflettere sul passato e, lo si spera, anche per vedere il presente con occhi più chiari.

Giochiamo? (Enrico Ferretti)

Il gioco ai tempi di Roberto Donetta Il gioco è spesso percepito come un’attività isolata dalla cultura e un passatempo puerile che si tende a prendere poco sul serio. Ma le pratiche ludiche rivelano le caratteristiche profonde di una società, così come l’identità culturale di un territorio. Ciò è stato costatato anche mediante uno studio che ho avuto occasione di condurre sui giochi ticinesi della prima metà del Novecento, che include pertanto il periodo in cui sono state scattate le fotografie di Roberto Donetta. Il Ticino dispone di un patrimonio di giochi tutt’altro che banale e, benché le attività ludiche non siano universali e si differenzino spesso da cultura a cultura, quasi tutti i giochi praticati in Ticino si sono rivelati comuni a una tradizione che si potrebbe definire europea. Il gioco ticinese è soprattutto transculturale: bambini e ragazzi ticinesi hanno spesso praticato gli stessi giochi non soltanto dei loro coetanei italiani, ma anche francesi e del nord della Spagna. Questa ampia condivisione può spiegarsi con il fatto che il Ticino è un crocevia di transito situato nel cuore dell’Europa. L’impronta ticinese del gioco è soprattutto legata ai rituali costituiti da conte e filastrocche che rappresentano il pre-gioco, danno avvio all’attività o accompagnano ritmicamente le situazioni ludiche. Conoscendo dunque la caratteristica e la varietà di giochi praticata in Ticino nel periodo in cui Donetta scattava le sue immagini ci si accorge che questa tipologia di giochi non è messa in evidenza dal fotografo bleniese. Lo scopo di Donetta non era – perlomeno per quanto attiene al gioco – di tipo etnografico. La sua preoccupazione non era dunque quella di raffigurare giochi e giocatori in azione (e forse nemmeno gli era consentito con i mezzi tecnici di cui disponeva). Osservando le fotografie si possono tuttavia tentare alcune interpretazioni e inferenze, completando le immagini a partire dai suggerimenti offerti dai luoghi, dagli oggetti, dall’età dei soggetti, dalle emozioni o dagli atteggiamenti espressi. La modalità di studio si basa sull’analisi dei tratti distintivi del gioco, in particolare ci si interessa del rapporto che intercorre tra il soggetto che gioca e il contesto in cui il gioco avviene, ossia lo spazio, i materiali, il tempo, gli altri giocatori, gli animali… Il gioco è un termine al quale si possono attribuire più significati, ma occorrerebbe definirlo con precisione affinché non si generi confusione. Ciò che caratterizza la pertinenza di un gioco è la regola. Se non vi è presenza di regole si può parlare di attività ludiche informali, che possono senz’altro essere interessanti, divertenti ed educative, ma non sono sottomesse a strette norme e non si basano su un “contratto sociale ludico”. Se c’è invece un codice condiviso (implicito o esplicito) che stabilisce l’adozione di regole comuni, ecco che il gioco si manifesta nella sua interezza e complessità. La fotografia “catastrofe”, che mette in scena un bambino cascato dalla bicicletta in un campo di bocce, consente di tracciare una distinzione tra gioco e situazione ludica informale. Qui il “vero gioco” è illustrato dallo spazio appositamente allestito per giocare. Non vediamo i giocatori di bocce (presenti in altre fotografie di Donetta), ma vi è la testimonianza relativa a una pratica assai diffusa in quegli anni in Valle di Blenio come nel resto del Ticino. Un gioco praticato da adulti maschi le cui regole erano già in quegli anni definite dalle federazioni. Il gioco delle bocce richiede l’allestimento di uno spazio espressamente preparato e si gioca con materiale costruito appositamente dall’industria. La messa in scena di Donetta potrebbe indicare che il ragazzino si è avventurato (mediante un’attività ludica informale che lo diverte, ma non lo vincola a nessuna regola) su un terreno proibito dove gli adulti giocano seriamente, provocando una “catastrofe”. I bambini non devono giocare in un campo di bocce, tantomeno con la bicicletta. Si tratta di una catastrofe lieve, poiché riparabile, anche se con una certa fatica in quanto il terreno va preparato accuratamente in modo da generare il minor attrito possibile agli oggetti di gioco. I campi immortalati da Donetta – seppur ancora assai diversi dagli spazi a cui si è abituati oggi – designano un processo irreversibile in ambito ludico, ossia l’addomesticamento del terreno di gioco: terreno che diverrà con lo sport sempre più standardizzato e lascerà sempre meno spazio all’imprevisto e all’incertezza. Il gioco delle bocce è l’unico gioco codificato a cui si può fare riferimento diretto dalle fotografie esposte, ma ciò non significa che bambini e ragazzi non praticassero giochi con regole, come si evince dalle testimonianze che appaiono nelle altre esposizioni coordinate da “blenioidea”. Se andare liberamente in bicicletta o in monopattino, giocare alla bambola, al cavallino, alle machine, al firli furli, agli indiani, con il cerchio o con la fionda, sono attività ludiche informali, i giochi praticati in tutto il Ticino quali le biglie, la lippa, l’elastico, il mondo, barra, guardie e ladri, palla prigioniera, i quattro cantoni o il tulín presuppongono invece un preciso contratto ludico, spesso negoziato tra i partecipanti. Le emozioni provate nel particolare gioco a nascondino del tulìn sono ben descritte da Katya Balmelli che ha trascorso le lunghe estati dell’infanzia e dell’adolescenza in Valle di Blenio nel libro La vie en Orange e altri racconti (Fontana edizioni 2008). Il gioco codificato è un atto sociale perché nasce e si sviluppa in un determinato contesto culturale, ma anche perché mette in stretta relazione tra loro i giocatori e sviluppa forme di comunicazione associate alla solidarietà e all’antagonismo, alla cooperazione e alla competizione. Possiamo ipotizzare che da un punto di vista relazionale, bambini e bambine, ragazze e ragazzi, anche di età diverse giocassero assieme e condividessero molte pratiche ludiche, così come erano compagni di banco nella fotografia che li ritrae seduti durante una lezione all’aperto. D’altro canto nelle fotografie di Donetta appaiono con una certa frequenza anche cani, gatti o capre che possiamo immaginarci come compagni di gioco dei bambini bleniesi. Gli animali cercano talvolta di interagire in modo ludico con i bambini, mentre altre volte non chiedono affatto di giocare e si trovano coinvolti loro malgrado nel gioco. Per quanto attiene allo spazio, nelle fotografie di Donetta, sono particolarmente interessanti gli sfondi, gli ambienti e i paesaggi. Essi permettono di evocare ciò che è successo prima e dopo lo scatto, che corrisponde a un momento di immobilità obbligata derivata dal fatto che, come spiegano gli specialisti “i lunghi tempi di esposizione rendevano difficile la realizzazione dei ritratti dei bambini”. Dunque con il fotografo non si gioca, ma ci si mette in posa e i ritratti risentono del fatto che i bambini sono intimoriti dall’imponente apparecchiatura fotografica (con tanto di cavalletto e cappuccio nero) che non era certo percepita come un giocattolo. L’inazione è pertanto forzata e si percepisce dagli atteggiamenti, dalle emozioni contenute, dall’energia compressa e talvolta repressa. Ma gli sfondi ci mostrano i luoghi dell’azione ludica, gli spazi in cui i bambini potevano scaricare le energie e dar sfogo alla loro bisogno di gioco e di movimento. La scenografia ludica che fa da sfondo alle fotografie di Donetta permette di constatare come i terreni dove giocavano bambini e ragazzi bleniesi fossero tutt’altro che addomesticati, si giocava perlopiù all’aperto, integrando elementi del luogo (sassi, ciottoli, cespugli, piante, neve…). Il terreno non è quasi mai piatto e regolare, i pendii e gli ostacoli rendono difficile la motricità obbligando ad elaborare l’informazione in modo originale e ciò dà un prezioso valore aggiunto al gioco. Le testimonianze mostrano che nella prima metà del secolo scorso, in Ticino si giocava perlopiù con oggetti che non erano espressamente costruiti come giocattoli; si trattava di materiali poveri cercati con cura e reperiti direttamente dalla natura (noci, sassi levigati, bastoni, …) o riciclati e recuperati dall’ambiente domestico (bottoni, fazzoletti, turaccioli, coltelli,…). Spesso erano i giocatori stessi a fabbricarsi i giocattoli che permettevano loro di trarre piacere dall’attività ludica. Ciò contrasta con i giocattoli che appaiono in numerose fotografie di Donetta, qui i materiali sono costruiti dall’industria, si tratta di oggetti piuttosto preziosi, sicuramente costosi e mostrano un’immagine di benessere che diverge dalla realtà rurale e artigianale dell’epoca. Un ulteriore aspetto ludico che possiamo rilevare nelle fotografie esposte è associata al gioco espressivo, creativo e drammatico, dove viene raffigurata la dimensione simbolica. Qui è soprattutto Donetta che si diverte nel gioco del “far finta”. Così come i bambini rappresentano scene sociali del mondo che li circonda giocando alla maestra, al dottore, alla messa o ai soldati, Donetta mette in scena con attori adulti la devozione, la dichiarazione d’amore, la rapina, oppure ironizza sul ruolo del dentista. Ci mostra così la sua versatile dote di “regista teatrale” curando con sensibilità e raffinatezza la disposizione spaziale. In conclusione va rivolto un applauso all’iniziativa coordinata dai quattro enti culturali bleniesi, che hanno saputo dare cittadinanza culturale al gioco e alle attività ludiche tradizionali. Ogni cultura incoraggia le forme di divertimento più compatibili con le norme che intende promuovere. Non essendo pensati per essere spettacolari ma per essere agiti, i giochi tradizionali arrischiano oggi di scomparire – malgrado le loro alte potenzialità sociali ed educative- mettendo in pericolo la ludo-diversità. I valori e le tradizioni non vanno imposti, ma deve essere possibile, per le nuove generazioni, poter praticare giochi che si sono consolidati nel tempo divertendo ed emozionando le generazioni precedenti. Si invitano dunque nonni, zii, genitori, insegnanti e bambini a riconsiderare e praticare i giochi tradizionali come fonte di avventura, di piacere e di incontro conviviale. Corzoneso, 23 aprile 2016

Enrico Ferretti Laboratorio di Osservazione dell’Azione Motoria, Università Vitoria-Gasteiz Laboratorio “Techniques et Enjeux du Corps”, Università Paris Descartes Gruppo di ricerca “Jeux et pratiques ludiques”. Centri di Esercitazione ai Metodi dell’Educazione Attiva